Blu oltremare: una giornata con Alessandro Rak

di Marianna L. Di Lucia

Uno degli aspetti che immediatamente balza agli occhi dello spettatore di un film realizzato e prodotto dalla MAD sono le enormi ed espressive iridi dei protagonisti, luccicanti e cariche di promesse e sentimenti. Gli occhi sono lo specchio della personalità degli uomini e le donne animati sullo schermo, ecco perché spesso vediamo quelli di Sergio, il protagonista di “L’arte della felicità” riflessi nello specchietto retrovisore del suo taxi: Sergio è un uomo che osserva il mondo in retrospettiva, guarda la sua vita all’indietro cercando ostinatamente di strappare quel velo che copre il suo passato e che rappresenta il filtro che ha deturpato e macchiato i suoi ricordi. O, ancora, emblematici sono gli occhi di ‘O Re di “Gatta Cenerentola”, che manifestano nella loro duplice sfumatura la doppia natura di questo personaggio, stucchevole e apparentemente limpido come il suo occhio azzurro mare eppure violento e corrotto all’interno. Fino ad arrivare agli occhi spalancanti e infantili della Gatta, che esprimono tutta la dolce innocenza che ancora resta sedimentata in piccoli cristalli nella sua anima. 

Sono personaggi a tutto tondo, quelli dei film della MAD, personaggi mutevoli e sfumati; come Angelica, matrigna innovativa e contro-corrente già dal nome che la eleva in una schiera quasi divina nonostante le cattiverie perpetrate. Angelica è rappresentata nelle sue fragilità di donna innamorata e, nonostante sia perfida e crudele, lo spettatore finisce per empatizzare con il suo cuore di donna e di madre distrutta. Matrigna come lo è la nave, la splendida Megaride, ma anche quella del video-clip della canzone dei Foja animato da Rak, che protegge -nel suo ventre logoro e marcio- e al contempo sferza duri colpi attraverso il flagello dei ricordi che ogni tanto fa tornare a galla dalle acque torbide del mare. Una matrigna saldamente ancorata al porto di Napoli, unico spazio della città mostrato in “Gatta Cenerentola”, nonostante la sua presenza permei l’intero film. 

Altra costante del cinema della MAD è lo sguardo lucido e razionale sui difetti di questa città, pur tanto amata, ed ecco allora che il taxi di Sergio in “L’arte della felicità” fa lo slalom tra i cumuli di immondizia che popolano le strade di Napoli, bagnati da una perpetua pioggia catartica. Infatti, la lucidità e la sincerità con cui si guarda, anche con dolore, agli aspetti peggiori di Partenope conducono ad una presa di coscienza purificatrice da parte del napoletano desideroso di cambiare e fare qualcosa, che si esprime attraverso uno degli archetipi fondamentali del cinema MAD: l’acqua della pioggia che scende verso il basso e inonda le buste. Catarsi che diventa immaginario apocalittico, invece, nella “Gatta Cenerentola” dove è un altro elemento archetipico, il fuoco, a distruggere le ultime speranze che restano attraverso l’incendio di quegli stessi cumuli di immondizia, producendo un pulviscolo distruttivo di cenere e veleno che soffoca la volontà e il buon animo di chi vorrebbe agire in nome del bene della città, dominata dal malvagio. 

Nei film MAD l’acqua non è presente solo nel diluvio che inonda la Napoli attraversata dal taxi di Sergio, l’acqua è una costante, come la notte -che culla i viaggi nei ricordi della Gatta, ma anche complice dei delitti attuati da Angelica e dalle sue figlie-. Il mare è una presenza continua, non un semplice sfondo ma uno degli attori in scena; non solo custode di segreti spaventosi, come i molti cadaveri che si accumulano sul fondo della nave -tra le acque-, ma anche simbolo della maternità, presenza avvolgente e protettiva. L’oblò della stanza della Gatta si affaccia sulla distesa marina maestosa, ed è proprio guardando lontano, verso l’orizzonte, che la ragazzina stringe forte l’unico legame che le resta con la sua infanzia -una piccola scarpetta- in cui pure le era negata la figura materna. Napoli, del resto, è profondamente legata al mare e possiede un animo femminile da sirena ammaliatrice; secondo la mitologia, infatti, nasce proprio da esso: si racconta che Ulisse volle a tutti i costi ascoltare il canto delle sirene e, poiché ne rimase assolutamente indifferente, provocò il suicidio di esse. Una di loro, Partenope, fu trasportata dalle correnti sino all’isolotto di Megaride, dove ora sorge Castel dell’Ovo, e una volta approdatavi il suo corpo si dissolse e si trasformò nella morfologia del paesaggio partenopeo. L’animo di Napoli, dunque, è intrinsecamente legato al mare, sua forza creatrice e materna. I Napoletani nascono con un legame ancestrale che li connette alle distese marine. E al mare ritorna la gatta, insieme con Primo Gemito l’unico ancoraggio rimastole, tuffandosi a capofitto in quella distesa enorme che la libera dalle catene oppressive di quella nave. Resta, però, l’interrogativo: è una fuga senza speranza o un ritorno al ventre materno in attesa di una nuova rinascita, anche per la stessa città nata dal mare e che forse può rigenerarsi proprio a partire da esso?

Forza materna e protettiva, ma al contempo ostile e avversa, è anche il mare disegnato da Miyazaki, che pure ne fa una costante del suo cinema e ammette che è la cosa più difficile da rappresentare ed animare. Le menti creative della MAD si sono formate sull’immaginario realizzato da Miyazaki e dallo Studio Ghibli e questo è visibile soprattutto nell’uso dell’archetipo marino. Le enormi distese di acqua marina di Miyazaki sono la tana avvolgente e protettiva di Ponyo, che vive sul fondo del mare ma finisce per affezionarsi ad un ragazzino terrestre. Lo tsunami provocato da Ponyo rompe l’argine che sussiste tra mondo marino e mondo terreno, esattamente come fa Partenope fondando una nuova città e l’acqua, attraverso la figura di Ponyo, diviene simbolo materno e femminile che avvolge la realtà affettiva e quotidiana del bambino. L’acqua nell’immagino Giapponese è dispensatrice di doni e madre-nutrice e in “La città incantata” diviene l’elemento principale che partecipa della crescita e della rinascita di Chihiro. 

Infine, altro elemento portante del cinema della MAD è il ricordo, il legame indissolubile con le radici: Sergio vive di ricordi, quelli che colleziona avidamente per rimettere insieme le fila di vicende che hanno preso una piega che lui non ha potuto controllare; e la Megaride si popola di ricordi, una moltitudine di ologrammi azzurro elettrico e intermittenti, che affiorano pronti riprodurre fedelmente tutti i gesti e le parole che si sono avvicendati tra le mura della nave, che li ha ingurgitati. Ricordi, che si manifestano nella loro autenticità solo nelle tonalità del blu nostalgico e ancestrale, legato a quel mare che accoglie tutto dentro di sé. 

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