ANGOLI DI VITA

di Serena De Lucia

Tre del pomeriggio e aria di fuoco, una luce immensa inonda la piazza, non risparmia niente e nessuno. La primavera reclama spazio. Un brulichio costante ricopre il marciapiede, un’enorme, complessa giostra annienta la possibilità di credere che il silenzio possa esistere. Il fondo è voce di motori sul quale si rincorrono: clacson, sirene della polizia, insulti volgari, l’incessante martellare di un trapano, saluti gridati, note scappate da un’autoradio in un’intricata inestricabile matassa. Tra il grigio nero dell’asfalto e il blu di un cielo infinito, l’aria è calda e satura. Gas di scarico e profumi, polvere e puzza di bruciato. Tram e autobus fanno a gara a riempire e svuotare il marciapiede. 

Garibaldi guarda immobile l’Italia liberata… 

Si è creato un nuovo capannello di gente, ma dalle facce: no, non aspettano il bus. Sono per lo più stranieri, hanno occhi scuri e ansiosi, alcuni spingono passeggini con su enormi buste di plastica, stipate all’inverosimile; dicono qualcosa, gridano qualcosa tutti gli altri li circondano. I bustoni zeppi non si vedono più coperti dalla folla. Si alzano voci di posti remoti, sembrano concitati dialoghi, trattative. Probabilmente un tira e molla sui prezzi, non molto diverso da quello che avviene nei mercati tradizionali. Solo che questo ha poco di normale, è un piccolo mercato illegale. 

Pochi minuti, l’arrivo dei vigili ha sciolto la riunione. 

Dileguati in ogni direzione, spariti tra il suono dei fischietti. Sui sampietrini sono rimaste però delle tracce: scarpe. Ce ne è una da uomo nera, un paio spaiato da donna, una rossa e una nera, e in un angolo accanto ad un ciuffetto d’erba e ad una lattina vuota: una scarpa di bimbo. È blu, di pelle, ha sulla punta due occhielli. La stoffa interna è a pois un po’ sbiaditi. Un calcio distratto di un passante e il tenero relitto mostra la suola di plastica quasi nuova. Quanto avrà mai camminato un piedino così minuscolo? Forse ha calpestato pavimenti di marmo e morbidi tappeti. Avrà percorso il tragitto da mamma a papá tra gridolini di stupore e incoraggiamento. Avrà mai salito un gradino? Conoscerà la vertigine della caduta? E il piacere di essere sfiorato dall’erba, di calpestare un prato verde? Gli sarà stato concesso? Un grosso cane la trova interessante: si sentirà ancora l’odore di latte e biscotti? O si porterà dietro, appiccicato per sempre, quello del sacco di plastica in cui era rinchiusa? Il cane se ne va, non prima di averla rigirata. Una donna la guarda, sembra quasi che stia per chinarsi a raccoglierla, poi continua dritto. Chissà, forse, le avrà ricordato le prime scarpine di suo figlio, quello che appena nato era un fagottino che stava in una mano e ora accanto a lei sembra un gigante. O forse no, forse le ha ricordato quel figlio che non ha mai avuto e ora non può più. C’è una macchiolina sulla pelle blu: puntino impercettibile tendente al verde. Ti avranno buttato via per questo? Forse un pennarello, un magico amico che fa cose pazzesche, anche se i grandi non sembrano accorgersene. O solo un graffio che brilla al sole? 

C’era una donna al piccolo mercato di disperati, con occhi bui che toccavano l’anima. Ti avrà preso tra le mani? Saranno state le sue unghie a graffiarti nella fretta? Ti avrà stretta e soppesata, di pelle morbida, starà bene con queste ai piedi, avrà pensato, mentre un timido sorriso le nasceva nel cuore. Poi il fischietto, le spinte, le grida, la corsa e addio piccolo tesoro. La tua compagna sarà tra le sue mani? La starà guadando e magari immaginando quanti passi avrebbe fatto il suo bimbo con quelle meraviglie ai piedi? Chissà forse il tesoro in miniatura, derelitto sul marciapiede, era destinato a un lungo viaggio verso una terra lontana. Lì sarebbe stato guardato e ammirato, nota stonata perché sorridente su un pavimento di terra battuta, messo a dura prova dal sole equatoriale, amato dentro la polvere come mai più potrà accadergli.

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