Quando da bambina accostavo le conchiglie all’orecchio sentivo la risacca, respiro del mare, e credevo possibile che quel piccolo involucro calcareo potesse aver memorizzato i suoni della spiaggia. Quando ne trovavo una, tornavo a casa convinta di aver messo in tasca un piccolo tesoro, di aver rubato un po’ della melodia dei giorni d’estate. Oggi, invece, so che si tratta di un’illusione acustica. Ne conosco la spiegazione scientifica: la cavità del guscio fa da cassa di risonanza per ogni onda sonora che dall’esterno giunge a far vibrare l’aria interna. La conchiglia non è un registratore. È strumento musicale.
C’è quasi sempre una soluzione razionale. Per questo, nonostante la fede, domenica mi sono avvicinata scettica alla tomba di suor Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso. Eravamo nella chiesa del monastero delle Carmelitane Scalze dei Ponti Rossi, a Napoli, in attesa della messa. Per il ritiro spirituale quaresimale Don Gianluca ci aveva condotti nella casa del clero di fronte al santuario.
“Ragazzi, io non ho mai sentito nulla, però qui c’è l’uso di appoggiare l’orecchio sulla tomba della beata affidandole le proprie preghiere. C’è chi dice di sentire qualcosa, ma non so altro di preciso. Ve lo dico nel caso in cui voleste…” disse Clara con voce sommessa per rispettare la sacralità del luogo.
Ero con Marianna, Marilena e Raffaele. Assieme volgemmo lo sguardo verso una tomba in marmo a lato dell’altare. Sopra tanti fiori e la statua dorata di una monaca che con la destra innalza un crocifisso. Rappresentava proprio suor Maria Giuseppina, una carmelitana scalza che si racconta avesse rivelato capacità profetiche dopo esser stata miracolata da San Francesco Saverio. Gli altri e io ci guardammo l’un l’altro titubanti, ma decidemmo di avvicinarci lo stesso. Inginocchiate ai piedi della tomba vi erano già delle persone in contemplazione mistica. Ci disponemmo in fila. Io ero l’ultima. Non mi aspettavo nulla. Sicuramente molta gente si sarà lasciata condizionare dall’autosuggestione, mi dicevo. Uno ad uno vidi i miei amici inginocchiarsi, accostare l’orecchio sul marmo, chiudere gli occhi, stare fermi là meno di un minuto e poi rialzarsi. Con lo sguardo chiesi a Marianna se avesse sentito qualcosa. Mi capì al volo, senza bisogno delle parole, e con un cenno della testa mi rispose di no. Si alzò anche Raffaele. Ecco. Era il mio turno. Avanzai con lo spirito più diffidente che potessi avere. Aspettative zero. Anzi, mi avvicinai e non pregai neanche. Mormorai solo “Padre mio, perdonami per questa cosa un po’ pagana e idolatra” perché le mie preghiere le affido solo a Lui. Toccai il marmo della tomba. Era freddo. Appoggiai la testa sulla superficie e la guancia mi si gelò. Abbassai le palpebre. No, era buio. Riaprii gli occhi. Dovevo vedere. E quel che vidi fu la signora al mio fianco che, già in ascolto, aveva il viso rivolto verso di me. Accostai bene l’orecchio. Mi concentrai e… alzai di scatto la testa. Anche la mia vicina se ne accorse. Aprì gli occhi a causa mia. Mi guardò curiosa come per chiedermi se avessi per caso sentito qualcosa. Non le diedi peso e tornai ad accostare l’orecchio. Avevo sentito uno scroscio, come se qualcuno avesse gettato in strada uno secchio d’acqua. Adesso invece… passi. Qualcuno stava camminando là sotto. Trafficava là sotto. Saliva e scendeva lungo una rampa di scale che scricchiolava, in legno forse. Nessuno parlava. Con lo sguardo perlustrai l’ambiente che mi circondava. La signora al mio fianco aveva chiuso di nuovo gli occhi. Nessun passo o movimento delle persone che mi stavano attorno e che osservavo con attenzione era sincronizzato ai rumori che sentivo. Va bene, mi dissi: c’è una cantina sotto la chiesa. Mi alzai e andai da Marianna e Marilena che si erano sedute fra le prime panche. “Avete sentito anche voi i lavori?” domandai.
“Quali lavori?” sbottò Marianna aggrottando la fronte.
“Quelli nella cantina sotto” risposi.
“Quale cantina?”. Marilena era perplessa. “Noi non abbiamo sentito nulla”.
“Ragazze, scherzate?”. Dei piccoli brividi mi sfiorarono le braccia sotto il maglione e la giacca.
Ci raggiunsero anche gli altri e li invitammo a fare stesso. Perdemmo così quasi un’ora. C’era chi sentì delle unghie graffiare il marmo, ma poi capimmo che si trattava del rumore degli orecchini di chi si accostava alla tomba. Quelli che avevano già l’orecchio appoggiato percepivano quel ticchettio come se provenisse da dentro, dove ovviamente ogni suono veniva amplificato. Domenico, intontito, disse di aver sentito una voce dirgli “Bravo”. Simone parlò di gemiti di donna, al che una signora lo rimproverò severamente: “Questa è la tomba di una beata! Qui nessuno soffre!”. Annamarika insistette nel dire di aver udito un battito cardiaco, ma il fratello le ripeté tutto il giorno che probabilmente aveva sentito quello del suo stesso cuore. Solo Gianluigi sentì i rumori di cantina che avevo sentito anch’io.
Quando nel tardo pomeriggio tornammo a casa in pullman ancora discutevamo. Anche chi giurava di aver sentito qualcosa era convinto che al massimo fosse stato un suono partorito dalla propria immaginazione o dalla coscienza. E anche a queste condizioni non ci interrogammo sui significati reconditi. Nessuno di noi credeva più che una conchiglia potesse contenere il mare.
Valentina Mazzella