RETROSCENA DI UNA VITA DI SGUARDI
Addossata al vetro
del treno in corsa,
in alcuni giorni
il mio respiro
era l’unico movimento
di un corpo immobilizzato.
Il cuore risuonava cavo
sotto i colpi di
battiti atrofizzati,
nemmeno lo sguardo
traeva dal di fuori
un punto d’appoggio.
La mente faceva presa
su qualche dettaglio,
distrattamente.
Nel vuoto intorno al mio viso
i capelli
sfilavano al vento
in fili separati,
qualcuno più ardito
oltrepassava al galoppo
l’orizzonte del mio occhio:
un mare di rame si dava al mio sguardo
assente,
che non voleva vedere.
Era luce abbagliante.
In quei viaggi
al cielo porgevo più volte
bocca, naso e ciglia;
le mani alle ginocchia,
in basso,
a sondar coi piedi
la profondità della terra.
Radici.
Compresi la mendicità del mio corpo,
più ancora l’infecondità del mio animo,
inerme, sfibrato,
ancorato al passato.
Ricordo i lembi dorati
del diario
in cui era scritta
la prima parte della mia vita,
allora non immaginavo quel che sarebbe stato poi.
Il perimetro di quella mia vita
era abbagliante.
Dopo il tempo
scorso sui nostri capi,
che di rughe e precipizi
ha solcato palme e dorsi di mani,
oggi,
in alcune tratte,
i miei occhi sembrano ancor somigliare
ai vetri opachi di un treno sgangherato.
A volte
ancora visioni di aloni e
di fumose presenze
intorno e al mio fianco.
ANNA PARTUCCI