LA STAZIONE FANTASMA

Ancora una volta ho attraversato questi binari, ancora una volta di corsa. 

Il luogo che tutti chiamano: “la stazione fantasma"  mi turba così tanto da farmi scappare; tuttavia ho voglia di tornare indietro in quella solitudine, mi volto e parto. Osservo i binari, l’erba, i fiori e ascolto il silenzio: quel che resta dopo la fine della vita è solo terra che si riappropria di ciò che le è stato tolto. Qui dove centinaia di pensieri silenziosi hanno risuonato più forte di tamburi, dove sguardi si sono incrociati e persi o sono stati per sempre, qui dove più vite di quante si possa immaginare si sono accavallate e hanno fatto rumore, ora c’è solo una labile traccia che il tempo con la sua inesorabilità cancellerà o almeno tenterà di farlo. 

Cosa ha visto il tempo? Cosa ha visto il treno? Quanto è forte la mia invidia verso il passato. Mi incammino al centro dei binari e sento un fischio. Il suono gutturale della partenza si oppone agli urli striduli delle fermate, l’aria mi scompiglia i capelli, inizio a correre e mi addentro in questa linea d’orizzonte senza meta. Il treno tanto giovane fuori e così vecchio dentro, ricco di libri, parole, silenzi, passi e tempo; tempo che non è suo, che mai gli è appartenuto. Eppure lo viveva, se lo portava dentro, non rendendosi conto che il suo scorrere attraverso questi binari, che ora guardo e calpesto, lo spingeva sempre più lontano dalla meta reale, cui lui non sapeva nemmeno di tendere ma che inconsapevolmente ha cercato per tutta la vita. 

Il treno sono io. 

Mi volto, dove sono? Mi sono persa in questo viaggio e in quel linguaggio che qualcuno ha definito ricco di metafore barocche. Quanto mi piace questo linguaggio. La parola scritta serve a rendere i colori della vita più vivi. Che immagine darei di questo albero che si apre dinanzi a me al centro di questa strada ferrata, se dicessi semplicemente che è ricurvo a causa del vento? Lo sminuirei. Quest’albero è temprato dal tempo, è un’àncora che ancora resiste, logora ma lucente. Tra il metallo di questi binari tutto è sparito, ma lui c’è, non è solo un povero tronco fortunato: è  la metafora della vita, della mia. 

Torno indietro, sono in equilibrio non devo cadere, piano poggio un piede dinanzi all’altro e mi sento come una foglia. Ecco vedo il punto di partenza, i binari continuano, sono io a fermarmi qui e mi rendo conto che non esiste un inizio o una fine. I pensieri continuano, come la vita, a seguire questa strada ferrata e noi siamo solo delle fermate alle quali qualcuno decide di scendere, mentre la storia prosegue e va avanti da tempo nel tempo. Ho capito tutto questo da un po’ di metallo in disuso, arrugginito, presente lì come altrove, pensieri futili donati da un tempo che non conosco e da un treno che non ho mai preso. 

                                                                                                                                                     Carmela Patriarca

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