Dare un nome alle cose
Da qualche parte, nel mondo, doveva esistere una creatura capace di modificare a proprio piacimento la realtà. Era matematico, si disse Pietro. Per di più questo essere, diciamo un mago, doveva essere terribilmente annoiato, ma talmente annoiato da arrivare ad impiegare i propri smisurati poteri in un passatempo assai bizzarro: cancellare o, quantomeno, ritardare il più possibile qualsiasi treno gli fosse capitato a tiro. La sua non era cattiveria. Si trattava di semplice curiosità. Quell’oscuro alchimista si meravigliava infatti ogni volta, stupito da come una semplice modifica su un tabellone potesse scatenare i più intensi turbinii di sentimenti in un essere umano. Pietro si ripeteva questa spiegazione, mentre osservava il cartellone delle partenze. Non c’era alcun dubbio. Quaranta minuti, era questo il bollettino provvisorio del ritardo. Una voce robotica, intanto, si diffondeva in tutta la stazione, messaggera delle scuse di Trenitalia. Quelle parole suonavano beffarde, come il “ritenta” dei gratta e vinci. La storia del mago restava di gran lunga più credibile. Pietro non aveva mai amato le stazioni e tantomeno le attese.
I ritardi e le attese erano per lui come un guasto, un incepparsi improvviso dei meccanismi armoniosi della routine. Non sarebbe rimasto in quel luogo un minuto oltre. Si diresse verso l’uscita della Stazione, deciso a sfruttare quel tempo crollatogli addosso, almeno per cenare. Fu però a pochi metri dalle porte che si rese conto che la fortuna, quella sera, aveva deciso di abbandonarlo sul ciglio di un’autostrada. Nel mondo esterno stava imperversando una vera tempesta. E Pietro odiava le tempeste. Si rese conto, a dir la verità, che non sopportava svariate cose. Ma adesso aveva ben altri problemi da affrontare. Dopo essere rimasto per qualche secondo con la fronte appoggiata su un vetro, Pietro decise di voltarsi. Era prigioniero della Stazione. E lo sarebbe stato almeno per i successivi 40 minuti.”Forza Pietro, non è la prima volta e non sarà certo l’ultima che ti capita qualcosa del genere”.
Cercando di farsi animo, raggiunse una panchina appartata, sulla quale si lasciò andare sbuffando sonoramente. Era tardi e La Stazione, a quell’ora, non era molto affollata. Lungo i binari, anche loro vagamente assopiti, si raccoglievano piccoli gruppi di persone, anche loro in attesa. Chi da solo, chi in compagnia, agli occhi di Pietro apparivano tutti come semplici silhouettes di cartone poggiate lì, senza uno scopo particolare,quasi a decorare un teatro di cartapesta. ”Chissà che non dia anche io la stessa impressione, di essere solo un cartone poggiato in un recinto di metallo”. Sentì una strana angoscia salire, dritta dallo stomaco. Era per questo che non amava i luoghi come la Stazione. La routine, le perenni corse, avevano concesso infatti a Pietro un lusso. Il lusso di non dover pensare. O meglio, il lusso di poter pensare esclusivamente agli affari che lo avessero riguardato direttamente. Così come un treno, la sua vita procedeva, a tambur battente, lungo binari dai contorni ben definiti. Il resto era per lui qualcosa di lontano, poco più di una tela dipinta. Bidimensionale. Era solo nei momenti come quelli, quando la sua corsa era per forza di cose sospesa, che si trovava costretto a guardarsi attorno. Era la realtà ad avanzare prepotentemente verso di lui. E questo lo riempiva di terrore. Il suo personale binario era invaso con violenza, senza neanche chiedergli il permesso.
“La cosa peggiore è aspettare”. I pensieri di Pietro vennero bruscamente interrotti da quell’affermazione che sembrava cogliere esattamente il suo stato d’animo. Si voltò. Seduto affianco a lui c’era un uomo. Da quanto tempo era seduto lì? Pietro non lo sapeva dire. Tuttavia sembrava conoscere perfettamente l’angoscia dell’attesa. Dopo aver incrociato lo sguardo di Pietro, l’uomo cominciò a riversare su di lui tutta la sua storia, dando l’impressione di dover necessariamente, per un bisogno quasi fisico, raccontare. Disoccupato, così gli disse, si stava dirigendo a Salerno “in cerca di un po’ di lavoro”. Quell’espressione colpì Pietro.”Un po’ di lavoro”, come a dire. “in cerca di quelle poche briciole che servono ad un uomo per sopravvivere”.
”Avresti un euro? Sai, per qualcosa da mangiare”. Di colpo infastidito, Pietro cacciò dalla tasca una moneta da 2 euro. Intascato il soldo, l’uomo si alzò e si allontanò. Pietro era furioso “Scommetto che quel barbone ti aveva puntato dal primo momento! Hai proprio scritto in faccia “Distributore di monete!!”. Dopo però non molto, l’uomo ricomparve e, mangiucchiando delle patatine, si risedette vicino a Pietro. “La cosa peggiore è aspettare”. Passarono attimi di silenzio interrotti solamente dal rumore delle patatine. Pietro solo allora, osservandolo con la coda dell’occhio, si rese conto che il concetto di attesa per quell’uomo era ben diverso dal suo. Una massa fangosa che rallenta, dilata, soffoca denudando, ecco cos’era.”Vorrei avere un po’ di lavoro. Nel frattempo, non posso che aspettare un treno inesistente”. Pietro provò una grande vergogna. Distolse lo sguardo, sentendosi, all’improvviso, un semplice intruso nelle vicende di quell’uomo. Nella panchina di fronte a lui erano sedute due persone: un’anziana ed un giovane. Visti insieme, erano veramente una strana coppia. Lei stava studiando con grande attenzione degli schemi per il punto croce. Li percorreva con gli occhi socchiusi, lentamente e con metodicità. Come se dalla comprensione di quelle piccole carte fossero dipese grandi cose. Consapevole di questa responsabilità, l’anziana signora assunse un’espressione di seria autorità. Incuriosito, ma non troppo, il ragazzo sedutole accanto la guardava. Il suo volto era rilassato, pulito. Pietro notò che la sua fronte non era percorsa né dalle rughe del rimpianto né da quelle dell’esperienza. Come una lavagnetta bianca attendeva, con un pizzico di noia, che il tempo facesse il suo dovere, portando con sé un pennello bello carico di colore e, magari, anche il sospirato treno. Quante storie sembravano promettere quei piccoli gesti, quegli accenni appena colti!
Pietro si accorse che qualcosa intorno a lui stava cambiando. Gli uomini di “cartone” cominciavano ad acquistare uno spessore, una fisicità nuova. Guardò l’orologio, constatando che aveva scontato poco più di un quarto della sua condanna in quel Limbo. Ora, tuttavia,la consapevolezza di condividere con persone reali, e non silhouettes bidimensionali, quella condizione, rendeva la prigionia quasi “interessante”. Ogni volto, ogni sguardo si mostrava a lui, ora, come un affascinante rebus da svelare. La panchina non gli bastava più. Si alzò e lentamente cominciò a girovagare per la Stazione. Sentì, ad un tratto, un suono. Qualcuno stava cantando! Si trattava di un’abitante della Stazione, una figlia dimenticata dell’umanità. Era distesa in un angolo, parzialmente nascosta da qualche strato di coperte. Il suo canto aveva qualcosa di ipnotico e disturbante allo stesso tempo. Era qualcosa di più di un semplice cantare. Era un incantesimo che doveva servire a tenere lontane forze invisibili e malvagie. Quella donna si stava cantando una ninnananna, per tranquillizzarsi e per proteggersi, e chissà, forse anche per spaventare la stessa morte. La sua doveva essere una battaglia quotidiana contro tutto e tutti, ma soprattutto contro l’indifferenza ed il silenzio, che rischiavano di farla scomparire, lentamente. L’indifferenza l’avrebbe vinta un giorno o l’altro, ma non fin quando avesse avuto la forza di gettare quei “sigilli canori”. In quel momento, Pietro si rese conto della responsabilità che l’ascoltare doveva comportare. “Il treno regionale 3410 è in arrivo al binario 4”. Era il suo Treno! Non si era assolutamente accorto di quanto tempo fosse passato! Avrebbe custodito quel canto. Pietro provò allora un senso di gratitudine nei confronti della Stazione. Mentre saliva sul suo treno, Pietro sentì fisicamente la consistenza di un peso nuovo, il carico delle storie che lo avevano sfiorato. E facendo ciò aveva progressivamente dissolto, anche se solo nella sua mente, la distanza che lo aveva separato fino ad allora dagli altri. Una distanza fatta di nomi e categorie, dove l’uomo è un mendicante, l’anziana una bigotta che tesse solo croci e madonne, il ragazzo uno studente che ha marinato la scuola e la donna una senzatetto pazza. Il binario si era scisso in infinite diramazioni.
Intanto, in un angolo della Stazione,un uomo, vestito in modo un po’ anacronistico, osservava il treno di Pietro allontanarsi. Sorrideva tutto soddisfatto. “Però… ed io che pensavo che avrebbe al massimo imprecato per quel ritardo!! Questi umani ti sorprendono sempre! Vediamo chi sarà il prossimo” Schioccò le dita.
“Annuncio cancellazione treno. Il treno regionale delle 21.00 per Benevento oggi non sarà effettuato. Ci scusiamo per il disagio.”
Michele imprecò.
Michele Assante