Ad occhi aperti.

Ad occhi aperti.

Era una mattina di gennaio; il primo mese che apre le porte del nuovo anno. Nell’emisfero boreale è l’equivalente stagionale di luglio. Ma come luglio è il mese centrale dell’estate così gennaio lo è dell’inverno. Tutto è assopito. Sento nell’aria un senso di dolce riposo. Diversamente da luglio non odo al mio risveglio ronzii d’insetti ma un canto; un canto piccolo, timido ma melodioso! E’ il re delle siepi che canta. Odo «Cip-cip-cip-cip-cip» e dalla fessura della finestra scorgo che è lui, l’uccellino del freddo: lo scricciolo. Saltella di rametto in rametto. Si, quel piccolo fagottello di penne arruffate che un minimo soffio di vento fa vibrare come mille bandiere, era stata una dolce sveglia per me in quella mattina gelida. La neve era scesa a quote basse, le montagne che si ergono dalla pianura avevano quella spruzzata grigiastra sugli alberi. Cadde anche qualche goccia di pioggia su quelle penne arcobaleno. Ero quasi convinta che quel suono soave fosse l’indizio della nuova primavera. Per pochi istanti ad occhi aperti mi sono vista attraversare quella pianura che divenne pian piano un campo di ciliegi ben fioriti, il loro odore era raccolto, una brezza vaporosa accarezzava il mio viso era come ricevere un dolce abbraccio e sulla mia spalla destra quell’uccellino che con il suo mielato cinguettio modulava le sue note. Quella melodia, quel suono limpido quasi magico cullava la mia tristezza. Mi sentivo spensierata, positiva, fortunata. Avevo in quel momento un cuore per amare l’universo. Riconoscevo in quel canto melodioso i miei desideri più profondi. Per un attimo, ripensai alla mia vita trascorsa, ai diversi giorni della mia vita in latenza. Giorni che sembravano irreali, giorni che in quell’istante sbocciavano e appassivano solo per il tempo necessario a farmi perdere l’autostima, a farmi distrarre mentre attraversavo quel paradiso. Se penso alle volte che ho saltato la fermata del treno, che sono stata costretta a chiamare qualche amico o qualche familiare per farmi venire a prendere alla stazione successiva, per essermi persa dietro a un futuro possibile, a un presente idilliaco o a un passato che sarebbe potuto essere diverso, rimango perplessa. Non è incredulità, ma nemmeno rimorso. Sono molto affezionata a quell’uccellino, ai miei sogni ad occhi aperti. Sogni che vanno avanti da anni, hanno assunto una forma di realtà parallela, di piano alternativo, e si sono popolati di personaggi inesistenti o visti soltanto passare. Niente di spettacolare, nessun atto eroico, ma una piccola, calda, rassicurante vita regolare che occasionalmente sfocia nell’idilliaco. Per molti i sogni ad occhi aperti sono una valida forma di terapia e un ottimo allenamento alla sopportazione delle piccole delusioni quotidiane. Per me sognare ad occhi aperti è un rifugio da quel frastuono quotidiano, un riparo ai miei sospiri, è ritrovare la pace interiore. Ascoltare il suono di quell’uccellino, «cip-cip-cip-cip-cip», è per me – oltre che un dolce abbraccio in quelle mattine gelide – ritrovare il silenzio nella vita che scorre.

Casale Federica

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