Dedico queste parole a una persona speciale, sapendo che la morte, mai ci separerà dal vincolo dell’amore, l’unica cosa certa che ci accompagnerà per tutta l’eternità…Un perpetuo rintocco di campane! È festa! Allegria di maggio, potrei dire… San Ciro, patrono protettore, tra coriandoli e suppliche avanza, costeggiando l’isolato stipato di gente. Tutti, bambini, padri, madri, in quel giorno speciale, accorrono credenti nella chiesa del Santo, che mai così gremita, tra il fumo inanellato degl’incensi e i canti corali si gloria di quel giorno. Allegria di maggio, potrei dire…Chiudo la finestra, tentando di interrompere quel varco di struggenti ricordi e alla luce della mia lampada da camera ritorno a ripiegarmi sui libri, assumendo la mia maschera d’impassibilità. Il rumore di festa mi distoglie, chiudo i libri, la malinconia assedia ciò che un tempo, in tali ricorrenze, era allegria. Qualcosa manca, l’anima ha vuotato tutti i suoi scomparti alla ricerca di ricordi che alimentassero un’assenza sempre crescente. E così, come dinanzi a uno specchio dalla superficie scrostata, io, confinato nella mia camera, seduto alla scrivania con un preciso ricordo di te tra le mani, osservo il vuoto lasciato dalla tua assenza, proprio con gli stessi occhi con cui si cerca di vedersi interi in una lastra intaccata da buchi neri. Ovunque, su ogni oggetto che mi circonda colgo il tuo riflesso, la tua traccia… Cosa ho perso? Circospetto, inabissato nelle profondità labirintiche della mia memoria, ti ricordo, recuperando la grande eredità d’affetto che hai lasciato! Attaccato alle macerie di questo strappo, con una fotografia tra le mani irrigidite dal dolore, simulo una carezza, l’ultima che avrei voluto prima che il tempo tiranno ti rapisse definitivamente, portandoti lontanodalla crudeltà di questa Terra. Scrivendo soddisfo un bisogno di sfogo, una necessità nata dall’incontro con il tuo sguardo, immortalato in un’istantanea fatta dalla mia fotocamera, una delle ultime immagini scattate. Sono tutte custodite, qui, nei cassetti di ogni mobile. Talvolta le osservo, riprendo tra le mani una parte di te, una reliquia cartacea che mi ricorda la tua fisionomia. In certi istanti, la paura di dimenticare il tuo volto è forte. Vederlo lì, immobile nel tempo, stampato sulla carta è un appiglio, un qualcosa di postumo. Tuttavia, prim’ancora di essere impresso sulla carta, il tuo nome è custodito nel mio cuore. Conservo il ricordo di una persona che ha passato anni a foggiare spade e scudi per tutta la famiglia con l’acciaio più resistente, e adesso ha un grande esercito che proteggerà per sempre il suo amore, il suo ricordo. Soltanto adesso penso al bene che ti volevo e che forse non ti ho mai dimostrato nel modo giusto. Ripenso al suono della tua voce, un’eco lontana. Non sentirsi più chiamare dalla tua voce! La tristezza mi avvolge e lascio che il dolore a poco a poco divori, trasformandosi in malinconia. Tu, che nonostante fossero passati anni dalla morte del nonno continuavi, in qualche modo ad aspettarlo, ricordandolo con il sorriso, per poi andare in cucina e asciugarti le lacrime; tu che con la tua semplicità hai conquistato il bene di tutti e ti sei portata via un pezzo di cuore importante. Ti aspetto, ti aspetterò sempre, passeranno i mesi, gli anni, ma io non ti dimentico. Ricordarti in foto è un colpo al cuore, è un rammentare la tua assenza nella quale ormai vivo. Non ero pronto, nessuno lo era. Il tempo è passato, ma non mi sono ancora rassegnato all’idea che tu non ci sia più. Tuttavia, è proprio vero, la nostra vita non è nostra. Da grembo a tomba siamo legati agli altri, passati e presenti, e per ogni crimine ed ogni gentilezza generiamo il nostro futuro. È difficile ricordarti in queste poche righe, riportare tutte le sfumature e i desideri inattuati, la tua pienezza, la tua bontà. Esistono, però, alcuni versi di Pablo Neruda a me molto cari, che spesso rileggo e mi ricordano che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice respirare. Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura che tu risvegli la furia del pallido e del freddo, da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili, da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra. Non voglio che vacillino il tuo riso né i tuoi passi, non voglio che muoia la mia eredità di gioia, non bussare al mio petto, sono assente. Vivi nella mia assenza come in una casa. E’ una casa sì grande l’assenza che entrerai in essa attraverso i muri e appenderai i quadri nell’aria. E’ una casa sì trasparente l’assenza che senza vita io ti vedrò vivere e se soffri, amor mio, morirò nuovamente. E così, m’illudo di poter scrivere di te, trascinando questa penna e il mio corpo, cerco… vorrei che cambiassero le impostazioni di questa vita, che si mostri l’originalità. Allora spero, da inetto, nell’inettitudine di riconoscere attraverso i sensi nell’aggregazione dell’aria, dei suoni e delle luci i ricordi annebbiati, prossimi all’oblio e di farne un collage della memoria. L’ultimo bacio, l’ultimo abbraccio Ciao Nonna…Antonio Mastino