I rumori di un’estate

I rumori di un’estate

Non ricordo molto di quella estate, se non rumori. Avevo lasciato ormai indietro, da mesi, il pensiero che quel nero che aveva invaso il tuo seno, ti avrebbe reso polvere. Tutto sembrava andar meglio, stavi bene, sorridevi e quei lunghi capelli biondi che avevi perso un anno prima stavano crescendo.

Quando scopristi di essere stata “invasa” da quell’orco prendesti la tua bacchetta magica, la tua fede, per combatterlo, per sconfiggerlo. La tua forza era la mia forza, quella dei tuo figli , di tuo marito, ciò che dava a tutti noi la speranza che avresti vinto tu. Continuavi ad utilizzare quel profumo di fiori d’arancio, quel rossetto rosso che tanto mi piaceva ma anche un foulard, un accessorio nuovo, per coprire la testa calva che non volevi. Maria era piccola, appena tre anni e ricordo come fosse ieri, i suoi grandi occhi marroni che sorpresi guardavano il tuo nuovo taglio di capelli; corti, troppo per lei, che li cercava con quelle manine paffute. Poi il foulard di un rosa antico perché ormai non c’era più nulla. A lei piacevi di più. Non era molto il tempo che riuscivi a passare con Maria, né con gli altri tuoi figli, ma quando ci riuscivi, la casa profumava di te, dei tuoi prelibati piatti, di pulito, di normalità. Stavi combattendo, la tua bacchetta stava avendo la meglio. Mi sembrava di sentire i colpi sferrati con forza che infliggevi a quel mostro, quel nero, perché così lo immaginavo; una macchia nera che bruciava peggio dell’acido. La musica che accompagnava la mia immaginazione era quella tipica dei film d’animazione. Eri una fata, la più bella e la più potente e nulla poteva sconfiggerti; nemmeno quel nero, l’orco che voleva distruggere il tuo regno. Ma qualcosa andò storto.

Giunse l’estate, quella che fu l’ estate dei rumori.

Un piano, solo un piano divideva i nostri appartamenti, ma era come vivere insieme. Sentivo tutto, ogni rumore, ogni tuo dolore. Ogni giorno era più caldo per me e per te più nero, perché più nero era il tuo corpo. Le urla, le sedie gettate a terra, la tua paura si era rivelata, la tua fede sopraffatta. Salivo le scale con i timore di dire la cosa sbagliata, arrivavo alla tua porta, il suono di un campanello e poi tu. Ti asciugavi le lacrime, perché nessuno sapesse, nessuno vedesse. Eri sola a casa e in quella occasionale solitudine lasciavi cadere il tuo mantello della forza. Ti guardavo e sentivo un nodo alla gola, poi la normalità. Tu mostravi la normalità. L’estate sembrava interminabile, e i rumori aumentavano ogni giorno di più. La tua bacchetta si era spezzata e il tuo mantello era bruciato. Erano circa le 6, il sole pronto a sorgere. Qualche cinguettio, poi un cane che abbaiava , poi un grido disperato, gente che correva. Mi alzai, sentivo i piedi pesanti, quasi non avevo la forza di salire ancora quelle scale, per paura di scoprire ciò che i rumori raccontavano. La porta era completamente aperta, c’era gente, tanta, troppa. Tuo figlio era nella sua stanza; siamo cresciuti insieme, è come un fratello. Mi guardava, non sapevo che dire. Poi un boom. Aveva dato un pugno al muro. La mano rossa, gonfia e piangeva ma non per il dolore fisico. Soffriva. Mi abbracciò forte, tanto che scoppiai in lacrime con lui. Eri diventata polvere. Il nero aveva vinto, non c’eri più.

Alessia Romano

Gruppo Di Virgilio

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