Quando ero bambina i miei comprarono una casa al mare.
Quello che la caratterizzava era l’infinità di suoni che l’avvolgevano sin dal primo momento in cui varcavi la soglia.
Era una casa in un parco, lontano dal centro del paese,lontano dal mare, insomma, dietro una stradina di campagna, quasi in mezzo al nulla.
Il parco era stato scelto perché ritenevano che così avrei più facilmente potuto fare amicizia, e solo ora, con il senno di poi, posso dire che mai scelta fu più giusta.
Era un parco strano. Tanti palazzotti a più piani con case basse e piani alti.
La nostra casa era ad un piano alto ma aveva un bel terrazzo.
Ogni estate, appena si poteva, più o meno intorno a metà Luglio, ci si trasferiva lì almeno per un mese. La cosa che più mi piaceva, l’attimo che aspettavo con ansia, era quel momento in cui, dopo aver inserito la chiave nella serratura, (la porta che era stata chiusa per quasi un anno) questa cigolava… e ti dava il benvenuto. Era un suono stridulo e, stando tutte le persiane chiuse, dava a stanze buie, e poi, piano piano, aprendo tutte le finestre, la luce entrava in casa.
Quello che contraddistingueva quella casa, era che era una delle poche che non dava sul parco, ma affacciava su una serie di alberi molto folti di una casa dove viveva una contadina, una di quelle con mucche, galline, e asinelli ecc ecc.
Gli alberi e la terra attorno, inoltre, erano casa e rifugio di molti grilli e molte cicale.
Non c’erano solo grilli e cicale a popolare il parco. Sotto ogni soffitto dei palazzi, c’erano tantissimi nidi di rondini, che, sin da inizio primavera iniziavano a popolare il parco cinguettando senza sosta.
Così, tra un ragliare di un asino, e il gallo che puntuale al sorgere del sole ti svegliava, l’estate passava accompagnati da un perenne sottofondo di grilli e cicale e cinguettii di rondini.
Spesso io e i miei amici, scendevamo nel parco in bici, il rumore delle catene delle bici era fastidiosamente bello, con il tempo riuscivi anche a distinguere le diverse catene delle diverse bici dei diversi amici.. “Arriva Alessandro! Sento la sua bici!”pensavi .. e cosi ti affacciavi al balcone, e poco dopo, vedevi spuntare il tuo amico da dietro l’angolo. Non esistevano i telefoni cellulari allora, e appena si diffusero là la copertura era pessima, e comunque noi eravamo bambini, e di avere il telefono cellulare non se ne parlava proprio! Così ci si metteva sotto il balcone dell’amico e si urlava il suo nome per chiamarlo “FABIOOOO FABIOOOO SCENDIIIIII ADIAMO DAL SIGNOR GIGI A PRENDERE IL GELATO!!!” Fabio si affacciava “NON POSSO ALE!HO LA BICI ROTTA!!” urlava a sua volta, in quel momento, dal balcone affianco, spuntava un’altra faccia. Era Matilde “DAI ANDIAMO A PIEDI! VENGO ANCHE IO!”. Già, il Signor Gigi, un signore che in inverno viveva in uno dei paesi più in montagna ma che in estate si trasferiva nella “casa giù” come la chiamava lui, molto vicina al parco e che fungeva da “salumeria” per tutto il parco, vendeva anche gelati, patatine ecc. E così si scendeva tutti assieme chi a piedi chi in bici per prendere un gelato in compagnia. Anche per i “grandi” la mancanza di copertura comportava problemi per sentire i propri cari, mariti mogli ecc che erano dovuti restare in città per lavoro.
C’era un telefono a gettoni fuori al parco da cui si poteva chiamare. Ricordo ancora le persone ore li in attesa per parlare anche solo 10 minuti con i propri cari. Il rumore della moneta che scendeva scandiva il tempo, ogni volta che il tempo di una moneta finiva, il telefono sembrava inghiottirla senza scampo. Era un suono strano, ma particolare.
Se invece volevi essere chiamato, era stato allestito da un gruppo di ragazzi più grandi di noi, un telefono fisso, posto in uno dei box auto del parco, su cui potevi farti chiamare.
Se ricevevi una chiamata, il ragazzo di turno, guardava dove abitavi, saltava in bici correva sotto al tuo balcone e ti chiamava “SIGNORA ESPOSITOOOOOOOOOOO C’è UNA CHIAMATA PER LEIIIIII”.
Io , allora bambina, pensavo che quel tempo non sarebbe finito, e mi vedevo già li pochi anni dopo al posto di quei ragazzi a correre per il parco in cerca della persona che aveva ricevuto la telefonata.
Tutti quegli odori ma soprattutto quei suoni, che ti allontanavano dal caos cittadino, erano suoni che si dimenticavano per un anno intero, ma che poi arrivati là, ti avvolgevano, trasportandoti in qualcosa di dimenticato.
Come una sorta di universo parallelo sospeso tra spazio e tempo.
Quella casa per un mese ti riportava alle origini.
Oggi la casa c’è ancora, ma è come se qualcosa fosse cambiato.
Hanno aperto un supermercato vicino al parco, e asfaltato la strada per arrivarci. Cosi il Signor Gigi ha chiuso la sua attività. La casa della contadina c’è ancora. Ma senza animali.
L’avvento della tecnologia, i telefoni cellulari, hanno comunque cambiato qualcosa: il telefono a gettoni è stato ormai sradicato e portato chissà dove e il box-centralino chiamate ora funge solo da box. Anche le rondini mancano. Da anni infatti, non fanno più il loro nido sotto le balconate del parco.
Il suono delle cicale e dei grilli che contraddistingue quella casa, e quel parco, invece è rimasto ancora vivo e unico.
Ogni anno ancora oggi, nonostante quella casa venga aperta più sporadicamente, e nonostante il parco sembri, forse solo in apparenza meno vivo di allora, appena si mette piede nel parco, il suono delle cicale e dei grilli che lo avvolge, avvolge anche me, e io torno a ricordare a come era bello quando c’erano molti più suoni delicati ad avvolgere quel parco che per me con il tempo è diventata una seconda casa.
Enrica Mossetti