Il 19 aprile del 1895 venne alla luce, in una sontuosa e amena villa di una delle più facoltose famiglie della città di Udine, una splendida bambina alla quale fu dato il nome di Cristina. Era una serena e mite giornata di primavera, illuminata da un sole giocondo che rifletteva i suoi raggi nella stanza in cui si udirono i primi, teneri vagiti della pargoletta. Sembrava che la natura volesse dare il suo benvenuto, tramite un segno premonitore, a quella nuova arrivata, la cui vita sarebbe presto divenuta un luminoso esempio di carità verso il prossimo e una testimonianza della capacità di preservare nobili e delicati sentimenti, pur vivendo in un periodo di atroce barbarie, dominato dalla violenza e dalla morte, in cui l’uomo sembrava rivelarsi la più crudele e feroce delle creature.
La bimba aveva un aspetto incantevole: era tranquilla e serena; aveva un viso paffutello, candido e solare, un sorriso dolcissimo che riempiva il cuore di tenerezza; gli occhi color nocciola erano grandi e profondi, vispi e pieni di innocenza.
La nascita di Cristina fu accolta con immensa felicità dai genitori perché dopo un lungo periodo in cui le speranze di avere un bambino erano quasi svanite del tutto, era finalmente arrivato il figlio atteso e desiderato. Per loro fu una gioia indicibile vederla crescere, muovere i primi passi e sentire le sue prime parole; ma i momenti che destavano maggiore commozione e che rimasero indelebili nella loro memoria erano quelli in cui la fanciullina, con i suoi splendidi occhi, guardava con curiosità le persone e il mondo nuovo che pian piano stava imparando a conoscere e ad amare.
La madre, donna di forte fede, le aveva insegnato fin da piccola a pregare e a rivolgersi a Dio; quando la bambina imparò a leggere, le regalò un libro delle Sacre Scritture, che Cristina quotidianamente leggeva, desiderosa di conoscere le opere compiute e le parole del Signore..
Un giorno, leggendo il Vangelo di san Matteo, fu colpita da queste frasi: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. […] In verità vi dico, ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Cristina meditò a lungo su queste parole e ne rimase così profondamente segnata da renderle un principio-guida a cui ispirare tutta la sua vita.
Giunto il tempo di cominciare a studiare, fu affidata a un precettore, che ne tesseva continuamente le lodi per la straordinaria intelligenza e per il vivace ingegno. La fanciulla si appassionò molto allo studio e il suo desiderio di conoscere la rese un’instancabile lettrice.
Divenuta giovinetta si distinse per il nobile portamento e l’aspetto gentile e signorile, per l’eloquenza nelle conversazioni e la sagacia, per la bontà e la dolcezza che mostrava verso tutti. Aveva un animo semplice e umile e il candore della sua persona risaltava maggiormente quando si abbigliava con semplici ma eleganti abiti bianchi.
Era caritatevole verso tutti, in particolar modo verso i bisognosi: ai poveri mandava doni e tutto ciò di cui essi avessero bisogno; si recava dagli ammalati e dalle persone sole e con il suo sorriso e la sua dolce parola, infondeva gioia e conforto nei cuori sfiduciati e delusi dalle angosce e dalle sofferenze della vita. Queste esperienze le avevano fatto capire che vedere un sorriso e un’espressione di gioia in chi aveva perso la felicità e la speranza poteva donare tanta serenità al cuore. Provava un senso di gratificazione e aveva capito che, per far sentire una persona amata, non bisognava compiere chissà quali grandi imprese ma semplicemente dedicarle del tempo e farle sentire la propria presenza. Inoltre dalle afflizioni degli altri aveva imparato ad apprezzare maggiormente le piccole cose e tutto ciò che possedeva.
Cristina amava trascorrere il tempo libero nell’ampio e fiorente giardino della sua villa: sentiva il suo cuore riempirsi di soavi emozioni, quando vedeva gli uccellini posarsi sugli alberi, che con il loro cinguettio producevano una celestiale melodia; provava una forte gioia mista a una sensazione di libertà ogni volta che una lieve brezza spirava sul suo viso, la paragonava a una voce delicata che sembrava parlarle e tenerle compagnia in quei maestosi silenzi.
Il giardino poi le appariva un meraviglioso Eden allorché, in primavera, si riempiva di delicati e variopinti fiorellini che lei coglieva felice per adornare la sua cameretta o per regalarli alla sua cara mamma.
La sera invece amava contemplare i cieli stellati e, nel vedere svanire nel buio della notte il flusso vitale, i suoni e i colori che avevano popolato il giorno, provava un senso di inquietudine perché si ritrovava a riflettere sulla fugacità e sulla caducità della vita. Ma poi nel mirare le stelle e la candida luna che illuminavano quella profonda oscurità trovava conforto e pace.
Nel frattempo la fanciulla cresceva e giunse il tragico 1914, anno in cui il mondo divenne un orrido teatro di guerra.
L’Italia aveva dichiarato la sua neutralità ma tutti gli italiani percepivano dentro di sé che prima o poi anche la loro terra natia sarebbe stata devastata dalla morte e dalla distruzione.
Cristina come tutti comprendeva che la minaccia della guerra stava diventando sempre più incombente; decise di seguire un corso per diventare infermiera volontaria della Croce Rossa. La sua decisione non fu accolta con entusiasmo dai genitori che, avvertendo l’avvicinarsi del conflitto, temevano per la sua vita; ma la giovinetta mostrò una tale risolutezza e determinazione nel voler perseguire la sua scelta che alla fine i genitori diedero il loro consenso.
Il 24 maggio 1915 ciò che si temeva accadde: l’Italia entrò ufficialmente in guerra. Cristina in qualità di infermiera fu mandata presso l’ospedale da campo sorto lungo le retrovie del fronte del Carso.
La guerra imperversava, numerosi furono gli scontri e le battaglie e l’ospedale incominciò ad affollarsi di soldati feriti.
Vedendo tante persone ferite e mutilate Cristina si stupiva nel constatare a quale livello di odio e di disumanità potesse arrivare l’uomo. Non capiva come un uomo potesse uccidere un altro uomo senza alcuna pietà.
Frattanto la notte oscura della guerra e della più spietata violenza veniva rischiarata dalla mirabile luce della carità e dell’assistenza che l’opera instancabile delle Crocerossine diffondeva.
Cristina era molto amorevole nell’assistere gli ammalati: dava il cibo ai soldati mutilati e a coloro che non potevano muoversi; medicava e aveva cura dei feriti; confortava tutti quelli che, per gli orrori visti e per le lesioni riportate, erano angosciati e scoraggiati; aiutava i moribondi a prepararsi con serenità per l’ultimo viaggio che li attendeva. Fu amata da tutti: i soldati più anziani la consideravano una figlia, i più giovani vedevano in lei una dolce sorella o una madre benevola.
Dopo la disfatta di Caporetto la giovane fu inviata presso l’ospedale civile della città di Udine dove si prodigò nell’assistere premurosamente i feriti, sia civili che militari. In una realtà in cui sembrava svanire ogni fiducia nella capacità delle persone di provare sentimenti di amore e di umanità, i bambini riuscivano ancora a infondere nei cuori il coraggio di andare avanti. Nonostante le stragi, le macerie e le ferite i fanciulli conservavano una forte gioia di vivere, un vivido entusiasmo e una grande bontà e, grazie al loro sorriso dolce e innocente, risorgeva la speranza di una possibile, migliore alba per l’umanità in frantumi.
Nel 1918, anno in cui il sanguinoso conflitto mondiale stava per giungere al termine, la ragazza fu trasferita presso l’istituto scolastico “Dante Alighieri” per l’occasione trasformato in ospedale dove venivano portate persone affette da malattie infettive.
Cristina, come una stella sfolgorante, illuminava, con lo splendore della sua bontà e delle sue amorevoli cure, quei malati abbandonati alla loro solitudine e alle loro sofferenze. Aveva una straordinaria capacità di dare conforto e serenità a quelle persone senza speranza e, in modo particolare, infondeva loro la fiducia in una esistenza migliore dopo la morte.
Nei primi anni del dopoguerra la giovane donna ormai divenuta una persona matura in seguito alla drammatica esperienza dell’orrido conflitto, trascorreva le sue giornate studiando e assistendo i malati negli ospedali.
Questa dolce, intensa luce, dopo aver rischiarato nella sua città natale e sul fronte di guerra, con il suo esempio gli anni oscuri della Prima guerra mondiale e, dopo aver donato a tanti cuori la gioia del sorriso e della speranza, stava per giungere al suo tramonto. Dopo circa due anni dalla fine del tragico conflitto Cristina si ammalò di tifo e, nel giro di pochi mesi, si spense come una lampada che ormai aveva finito di risplendere. Tutti coloro che erano stati aiutati e assistiti da lei si recarono alla sua villa per darle l’estremo saluto e per vedere un’ultima volta quella splendida giovane che giaceva nel suo letto, calma e serena, col suo dolce sorriso disegnato sul viso.
Il 15 settembre 1920 questo meraviglioso angelo, che aveva brillato in terra per il suo candore e per il suo amore verso il prossimo, partiva dal mondo. Aveva lasciato un ricordo indelebile nei cuori che ebbero la fortuna di incontrarla; grazie al suo ammirabile comportamento aveva insegnato che la barbarie e la violenza non avrebbero mai potuto spegnere completamente i sentimenti di umanit à, amore e solidarietà fraterna; in una piccola parte di umanità sarebbero rimasti per sempre.
Loredana Cimmino Numero di matricola: N55/822