Il flusso delle urine ha il suono di alcuni fiumi impetuosi; mi ricorda quello di quelli dei documentari che testimoniano tragedie e morti; fiumi straripanti che trascinano tutto ciò che incontrano lungo il loro cammino procedendo disastrosi per completare la loro raccolta forzosa. Mi ricorda anche il suono del rubinetto del bagno buono, quando, da piccola, di domenica e di primo mattino, ascoltavo mio padre mentre si radeva. Acqua, stop. Suoni di lame in azione. Colpo di rasoio ben assestato sull’orlo del lavandino. Acqua, stop. Il rito domenicale e mattutino si compiva nelle sue fasi abitudinarie, scandite dagli stessi suoni. Erano, tutti assieme, una cantilena o una ninna nanna, mentre lottavo nel letto con la luce rumorosa che filtrava attraverso gli occhi della persiana. Guardo le urine che bagnano l’estremità ovattata e l’altra, sudata e di plastica, la tengo stretta tra pollice ed indice. Le urine fragorose si scontrano con la lingua bianca, piccole gocce di scarto vengono risucchiate dalla piccola pozzanghera sorridente sottostante. Mi alzo, mi asciugo, sollevo gli slip, tiro giù la gonna. Appoggio il mio carnefice sulla mensola di marmo. Tic. L’urina comincia ad avanzare inarrestabile. I miei occhi non si staccano. Prima linea rosa. Non significa nulla. Indica che il test è stato eseguito correttamente. La chiamano “finestra di controllo”. Le urine avanzano. Le vedo. E le sento. Appare la seconda linea. Chiara, rosacea, ma evidente. Bum! Un tonfo rapido e il mio cuore abbandona la sua sede naturale in una caduta vertiginosa fino ai piedi, passando per lo stomaco e le gambe. Qualcuno avanza nel corridoio e minaccia di buttar giù la porta del bagno. Lesta, nascondo il mio bianco amuleto ed esco. Non lo voglio. Voglio abortire. Voglio che mi strappino dalle viscere questo mostro invadente che mi succhia la vita e mi prosciuga il sangue. Bianco ovunque. Odore di disinfettante. Il dottore è anziano, è gentile e ha un sorriso buono e pacifico. Gli chiedo di fare presto. Mi dice che sarà velocissimo, deve solo verificare che sia tutto regolare per procedere al raschiamento. Vorrei non guardare il monitor ma non ci riesco. Qualcuno mi suggerisce instancabile di voltarmi. Guarda, guarda, guarda, guarda, guarda, guarda. Guarda! Guardo. Non distinguo chiaramente. Un fagiolo. Un rene. Uno scarafaggio. Quel qualcuno non la smette. No. No. No. No! Questo non glielo chiederò mai. Ma insiste. Glielo chiedo. Lui mi guarda in pena e mi dice che per la decisione che ho preso non è il caso di sottopormi ad un inutile castigo. Ha ragione. Ma qualcuno insiste. Ed io insisto. Il dottore preme qualcosa. E comincia. Non ci credo. Non è possibile. Sono loro. Le sento, giuro, le vedo. Avanzano bellissime e terribili tra le nubi. Flauti, oboi, clarinetti, corni, tube, trombe e tromboni, piatti, timpani, viole, violini e violoncelli. Gli altri non li ricordo. Ma è lei. E’ la Cavalcata delle Valchirie di Wagner. Rido. Piango. Assieme. Il mio candido dottore non capisce. Ha ragione. Non comprende la mia trasposizione di un battito umano in una gloriosa e valorosa annunciazione. “E’ una femmina e si chiamerà Rosita”.
Salgo le scale della scuola elementare che frequentavo anch’io. Gli stessi bidelli che mi vendevano merendine a duecento lire e dispensavano strappi avari di carta igienica mi salutano come tutte le mattine, sorridenti e sdentati. Rosita è un’eccellenza ed è stata scelta per un progetto di musica perché ha un orecchio ed una predisposizione particolari. Il suono del flusso delle urine è quello che preferisco. Ancora oggi, non posso fare a meno di guardare mentre viene giù opalescente e luccicante come rugiada. Le urine sono prodotti di scarto ma sono formate per la maggior parte da acqua. In un litro di urine ci sono novecentosessanta grammi di acqua. E l’acqua è vita. Nasciamo nell’acqua e da essa e in essa veniamo al mondo. Si dice che il gorgoglio del liquido amniotico sia l’ultimo ed il primo suono che i neonati ascoltino ed intendano nella loro uscita dal canale vaginale ed è il suono che ricorderanno inconsciamente sempre, per tutta la loro vita mortale. L’acqua è vita. Ed io, contro la morte, l’ho scelta.
Giusy Perillo