racconti: Ricordi ferrati

Ricordi ferrati

La prima cosa sono i ricordi.
La galleria fino a Vico Equense, la luce, il buio e i neon arancioni. Quella città che resta immobile sotto e non fa più caso all’ammasso di fili che si muove sulla sua testa.
Cinque minuti di galleria e saremo in un’altra stazione, un netto cambio di scenario. Dal finestrino sono spariti i bambini nelle piscine gonfiabili, le giostre improvvisate, le mamma vigili sui bordi delle strada e dei miei occhi. Arriverà il tiepido contegno della Penisola Sorrentina; signore vestite bene, silenziose cariatidi con gli occhi quasi sempre chiari. Paesaggi dei primi anni di scuola.

Non ricordo quasi nulla dei treni di Parigi. Ricordo l’odore delle metro di Berlino; quel viaggio pieno di colori accesi e vecchi, veloce, senza nemmeno il tempo di pensare, senza nemmeno il tempo di ricordare.
Qualche anno dopo appare il treno per Bratislava e tutta campagna intorno. Alzai gli occhi e c’era una pioggia forte e sconosciuta che mi faceva venire voglia di perdere tutti gli altri treni.

Un passo avanti.

Stazione di Via Nocera: un cane, Napoleone, sempre attento ai viaggiatori e una foto che gli scattai pensando a De Andrè: potevo chiedere come si chiama il vostro cane, il mio è un po’ di tempo che si chiama libero. Quella foto di quel cane che non so più dove sia, ha la fissità di una statua gigantesca. La stessa fissità di mio padre fermo, immobile, nel letto che non mi riconosce più. Un treno bloccato in stazione, un guasto a qualche cavo; non resta che portarlo in deposito.
La morte, i binari morti di molte stazioni. Anni di immobilità anche se quei treni, seppure in ritardo, li vedevo passare, ma io non c’ero mai. Metropolitane sporche, ci piove dentro e le stazioni che vomitano rumori, tentare un’altra strada, una strada con il mare, una strada piena di azzurro, lenta. Ma io non ho spazio per tutta quell’acqua, e così inizia a piovere anche dentro di me; mai più le Ferrovie dello Stato.

Due passi avanti.

Il tram. Poggioreale, la mattina chiara per arrivare al lavoro e quella ragazza che piange per qualcuno chiuso fuori dalla città, in quel castello di errori che corre, corre, corre, dietro i finestrini del tram. Che a lui non gli importa degli avvocati che fremono, e nemmeno della ragazza che piange. Scende e attraversa a testa bassa e il peso delle colpe all’ingresso del castello degli errori. Lo sa che io ho perduto tre figli, signora lei è una donna piuttosto distratta.

Tre passi avanti.

Autostrade annoiate, un abbonamento stampato su un cartellino rosa ed una porta aperta davanti il cancello di casa. E poi di nuovo, tutto si ferma: “tua mamma ha smesso di soffrire, finalmente”. Dicono loro. E a me non resta che andare. Treni, autobus, metropolitane sempre più caldi e sempre più pieni. Nuove facce, che mi permettono un’indigestione di vite non mie, che rimuovono quel chiasso misterioso che solo l’assenza sa generare. Ascoltare le chiamate, preoccuparsi di tutti i figli al doposcuola, di tutti i fidanzati che non rispondono, di tutti gli amici che non hanno ancora organizzato per la sera. Ho una voglia terribile di inseguirli ovunque, di vedere dove finiscono i fili invisibili delle loro chiamate, di vedere le loro case e le loro storie prendere vita.
Uno sprazzo di luce… potevo attraversare litri e litri di corallo per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci. Un’altra storia presa al volo di una fidanzata troppo stanca per uscire. Immagino la casa, pochi oggetti e un tavolo piccolo, del cibo stanco come la fidanzata e la televisione di sottofondo che fa rumore “poi domani facciamo quello che vuoi tu, però stasera veramente non me la sentivo”.
Immagino l’amica al telefono della signora con i capelli rossi, che ha dato via tutto, i soldi, la dignità, la casa delle vacanze ad un uomo che non si meritava nulla. Ma ora è giunto il momento di aiutare anche lei, ci vuole un bonifico e qualcuno che la tiri fuori da quella situazione. Allora guardo la signora con i capelli rossi e vorrei dirle che forse è il caso che andiamo a prendere la sua amica, e che la riportiamo a Castellammare, starà meglio insieme a lei che lì, in quel posto lontano che però non ho capito dov’è.

Ma la porta dell’autobus si apre di fronte il cancello di casa. Ho tempo solo per i ricordi.

Anna Giordano

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